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I "ball lightnings" (fulmini globulari)

Il 26 maggio 1988, l’ultima tappa del trekking che la mia cooperativa ha organizzato per gli studenti di un Istituto Scolastico ternano, era presso il campo allestito in loc. “La Chiesuola” (rudere), su un piccolo valico (a 760 m di quota) nei pressi del paese di Cerreto di Spoleto, sul versante sinistro della Valnerina (42,805120° N - 12,929270° E). Durante l’escursione beneficiammo di una bella giornata, con tanto sole e nessuna pioggia, ma fummo veramente fortunati. Nel pomeriggio numerosi temporali termoconvettivi si scatenarono tutt’intorno a noi, ma sempre a debita distanza dal nostro gruppo! Nella tarda serata l’ultimo temporale rumoreggiava verso nord-ovest, nel folignate, poi si dissolse. Poco dopo, intorno alle 22, uno strano temporale tardivo, cominciò a formarsi proprio sopra di noi. Di norma i temporali termoconvettivi pomeridiani si dissolvono verso sera, ma talvolta, quando l’aria è potenzialmente instabile, specialmente per la presenza di notevoli quantità di vapore, fenomeni di convergenza nella bassa atmosfera possono alimentare delle correnti ascensionali nelle aree che nelle ore precedenti non erano state raffreddate dai rovesci temporaleschi. Probabilmente il temporale del folignate aveva generato raffiche di deflusso temporalesco (“outflow”), causando il sollevamento forzato della residua sacca di aria calda ed umida presente nella media Valnerina. Ci rifugiammo tutti nelle tende per sfuggire all’acquazzone, ma il temporale acquistava sempre maggiore potenza; probabilmente si stava generando una “supercella”! Un po’ di acqua cominciava a entrare nelle tende mentre i fulmini cadevano sempre più vicini a noi. Decidemmo così di abbandonare le tende per rifugiarci nel pullmino della cooperativa, parcheggiato nei pressi del campeggio. Mi trovavo in una posizione veramente privilegiata per osservare un temporale: quasi in cima ad un rilievo, con delle grandi finestre che mi consentivano di vedere i fulmini che cadevano tutt’intorno. Ad un certo momento si fece un gran silenzio, come se fulmini e tuoni fossero stati congelati da una forza misteriosa. Davanti a noi (a circa 800 m s.l.m.), verso SSW (posizione più probabile: 42,803233° N - 12,926690° E), sopra il versante destro del tratto terminale di una piccola valle tributaria della Valnerina (fosso Tissino), comparve all’improvviso una luce abbagliante; un oggetto luminosissimo di forma ovaleggiante, più rastremato verso il basso, faceva bella mostra di sé illuminando i rilievi della Valle. Dissi: “Ma cosa hanno combinato i Cerretani? Hanno piazzato una lampada enorme sulla Valnerina?”. Qualcuno, rivolgendosi a me (ero considerato un esperto di meteorologia) gridò: “Ma cos’è, Nitti, quella palla luminosa?”. Risposi: “Mah… non può essere un lampione, è gigantesco e molto alto nel cielo. Si tratta sicuramente di un fulmine globulare!”. Continuammo ad osservare in silenzio il “ball lightining” che, immobile nel cielo plumbeo, non subiva alcuna variazione di luminosità. Poi, all’improvviso, l’ovoide perse rapidamente luminosità, mentre, sulla sua superficie apparvero (per pochi decimi di secondo) dei segmenti oscuri grossolanamente rettilinei che si intersecavano a 90°, ispessendosi rapidamente; un attimo dopo scomparve senza produrre alcun rumore (o, forse, non lo avvertimmo perché eravamo nel pullmino). Dopo aver dato spettacolo con il “ball lightning”, il temporale riprese a generare fulmini per una quindicina di minuti, quindi si dissolse. Intorno alle una della notte ci apprestammo ad accendere un fuoco per riscaldarci… ed asciugare i sacchi a pelo che erano rimasti nelle tende, mentre un’incantevole luna piena risplendeva su quei rilievi che poco prima erano stati illuminati dal fulmine globulare.
Negli anni successivi ho spesso ripensato a quello strano fenomeno manifestatosi in quella storica nottata. Prima d’allora ritenevo che i Fulmini Globulari fossero delle luminosità evanescenti prodotte da plasma eccitato dalla caduta di fulmini. Ma qualcosa non mi tornava: il Ball Lightining che avevo osservato non era stato prodotto dalla caduta di un fulmine, inoltre era molto luminoso e dai contorni nettissimi; qualche forza misteriosa aveva acceso quell’ovoide luminoso e lo aveva confinato in uno spazio ben delimitato.
Si trattava sicuramente di un “Giant Ball Lightning” (fulmine globulare gigante), che viene in genere descritto come il più grande tra i Fulmini Globulari (fino a 10 m di diametro), dotato di luce perfettamente bianca, relativamente immobile e piuttosto duraturo. Quello che ho visto io è durato circa 30 secondi e dovrebbe aver avuto dimensioni superiori a quelle stimate da altri osservatori. Non potendo valutare con esattezza la distanza alla quale si è manifestato, risulta difficile stabilirne le dimensioni; comunque, la mia impressione fu che possa aver avuto un diametro compreso tra i 20 e i 30 m.
Col tempo mi convinsi sempre di più che il confinamento del plasma luminescente responsabile del “Giant Ball Lightning” fosse prodotto, o perlomeno in qualche modo connesso, ad un vortice atmosferico. Nei temporali, in modo particolare in quelli molto intensi, i vortici sono molto frequenti. Il temporale di quella mitica nottata era probabilmente una “supercella”, un grande temporale caratteristicamente isolato (nell’immagine Meteosat notturna, nell’infrarosso, risultava essere l’unica cella temporalesca dell’intero territorio nazionale), longevo, che si sviluppa in presenza di shear del vento in quota ed elevata concentrazione di vapore nella bassa atmosfera. I cumulonembi, in modo particolare quelli delle “supercelle”, generano rotori orizzontali e vortici ad asse verticale (più o meno inclinati) di varia dimensione ed intensità, che diventano visibili solo molto raramente quando, acquistando notevole potenza, si manifestano sotto forma di trombe d’aria (o “tornado”); queste ultime, logicamente, sono difficilmente identificabili nelle ore notturne. Nei temporali, le correnti aeree orizzontali, verticali e quelle vorticose giocano sicuramente un ruolo importante nella distribuzione delle cariche atmosferiche (ioni) all’interno della massa nuvolosa e nello strato interposto tra il suolo e la base dei cumulonembi. In modo particolare le correnti ascensionali dovrebbero essere responsabili del trasporto verso l’alto di fasci di aria ionizzata (frequentemente dotati di carica positiva) che si formano in prossimità del suolo (in modo particolare sui corpi appuntiti, come le cime dei rilievi, le antenne, gli alberi, i tralicci). La propagazione della scarica guida, invisibile, è pilotata dal campo elettrico che, nelle scariche cielo-terra (altre scariche si manifestano all’interno delle nubi o tra nubi diverse), dirige la scarica verso il basso, fino a raggiungere il suolo (scarica singola), che è dotato prevalentemente di carica positiva. Probabilmente le scariche ramificate si producono in presenza di fasci di aria ionizzata risucchiati verso l’alto dalle correnti ascensionali; in questo caso la struttura del campo elettrico diventa più complessa e la scarica guida è costretta a ramificarsi verso il basso, di conseguenza anche la scarica di ritorno (fulmine visibile) risulterà ramificata. Ho notato, infatti, che le scariche ramificate nei fulmini che colpiscono il suolo sono più frequenti dove sono presenti correnti ascensionali o forte turbolenza. Nelle altre strutture temporalesche, come i vecchi temporali, le “cappe” proiettate a distanza dai nuclei temporaleschi (spesso anche le celle temporalesche a base molto alta, generate dagli Altocumuli castellati), i fulmini nube-terra sono più rari e a scarica singola (sono ramificati soltanto all’interno della nube) probabilmente proprio perché non sono presenti correnti ascensionali alle quote più basse.
Cosa può accadere se fasci di aria ionizzata aspirati da una corrente ascensionale vengono catturati da un vortice? Quale percorso seguirebbero poi le scariche ramificate? Ho ipotizzato che, in situazioni molto particolari, possano svilupparsi numerosi conduttori di cariche elettriche spiraleggianti sulla superficie esterna di un cono vorticoso. In questi casi, la bassa intensità di ognuna delle numerose scariche di ritorno (“scariche di ritorno spiraleggianti”), non consentirebbe il raggiungimento delle temperature molto elevate necessarie per produrre l'emissione di radiazione luminosa (fatta eccezione per l’estremità inferiore del cono), ma permetterebbe la generazione di un intenso campo magnetico prevalentemente unidirezionale lungo l’asse della spirale. In pratica, il fulmine dovrebbe emettere luce soltanto in una piccola area all’estremità inferiore del cono e in quota (in genere all’interno della nube), mentre tenderebbe a diventare “evanescente” sotto la base della nube.
Molti anni dopo vennero pubblicati in internet diversi avvistamenti di Ball Lightning all’interno dei tornado, e questo confermava le mie supposizioni.
Continuai ad osservare i temporali, spesso effettuando delle riprese con la mia telecamera e con macchine fotografiche digitali, nella speranza di catturare qualche fenomeno interessante. Il 5 giugno 2013 ho effettuato una “raffica” di foto nel primo pomeriggio durante un’acuta crisi temporalesca termoconvettiva manifestatasi nel ternano. Non avendo a disposizione il tempo necessario per esaminare la gran massa di foto, per scartare tutte quelle in cui non era presente alcun fulmine, rimandai il pesante lavoro di cernita… a data da destinarsi. Pochi giorni fa, realizzando finalmente tale lavoro, ho notato una foto sorprendente: un Giant Ball Lightning di forma grossolanamente ovoide (più ampio nella porzione superiore), sovrastato, a distanza di circa 1 km, da un “fulmine evanescente” visibile poco sotto la base di un cumulonembo. Avevo così a disposizione un’altra prova a conferma del mio modello teorico!
Ho scattato quella foto alle ore 13.25'.18'' (ora solare) dal terrazzo di un palazzo ubicato nella periferia meridionale della città di Terni (42,546076° N - 12,656775° E). Il Giant Ball Lightning, che compare nella foto verso NNE ad una distanza di 5,56 Km, nei pressi della frazione di San Bartolomeo (posizione più probabile: 42,589127° N - 12,691112° E), ad una quota di circa 350 m s.l.m. aveva, presumibilmente, un diametro di 10 m. Nella foto scattata 4 secondi prima (13.25'.14'') e in quella fatta 6 secondi dopo (13.25'.24''), il Ball Lightning non compare e non è presente alcun “fulmine normale”. Evidentemente il Fulmine Globulare ha avuto una durata non superiore ai 10 secondi.
Il fulmine “evanescente” non appare collocato perfettamente al disopra del Ball Lightning, ma un po’ più ad est, molto probabilmente perché il supposto cono vorticoso era inclinato verso ovest nella sua parte inferiore, a causa dell’”outflow” generato dai rovesci (visibili nell’estremità destra della foto) che erano in atto nella bassa Valnerina.
Secondo il “modello a valanga relativistica di elettroni rapidi” la scarica guida è un canale ionizzato tracciato dagli elettroni rapidi che si muovono a scatti, attratti dalle cariche positive del suolo. Le collisioni con le molecole dell’aria producono raggi X (radiazione di Bremsstrahlung) e tendono a frenare gli elettroni creando locali accumuli in corrispondenza del fronte della valanga di elettroni. Viene così generato un intenso campo localizzato che accelera nuovamente, in un passo successivo, le particelle a velocità relativistiche con emissione di raggi gamma.
Probabilmente, quando si creano quelle rare condizioni favorevoli allo sviluppo di un fulmine globulare, numerose scariche guida ramificate si dirigono verso il basso seguendo le scie dei fasci di ioni positivi che risalgono a spirale presso la superficie esterna del vortice. Raggiunta l’estremità inferiore del vortice (dove si concentrano gli ioni positivi) gran parte del fronte di valanga di elettroni cesserebbe di propagarsi in seguito alla collisione tra elettroni rapidi e molecole dell’aria generando una piccola area fortemente ionizzata. Numerose, deboli, ramificazioni, partendo dall’estremità inferiore del vortice, si diffonderebbero verso il suolo. La scarica di ritorno risulterebbe particolarmente intensa soltanto alla base del cono vorticoso (dove era già presente aria molto ionizzata) generandovi un plasma (ricco di ioni ed elettroni) in veloce rotazione, immerso nel campo magnetico, prevalentemente unidirezionale, generato dalle “scariche di ritorno spiraleggianti”. Il campo magnetico unidirezionale indurrebbe intense correnti elettriche all’interno del plasma in rapida rotazione, surriscaldandolo violentemente e facendolo espandere. Non escludo che il plasma, raggiungendo un elevatissimo carico di energia, possa essere capace di emettere non solo radiazione luminosa tutt’intorno, ma anche un lampo di radiazione gamma.
Scienziati della Duke University hanno condotto dettagliate analisi relative ai collegamenti tra i fulmini e le emissioni esplosive di raggi gamma (“gamma outbursts”) provenienti dalle nuvole (Simultaneous observations of optical lightning and terrestrial gamma ray flash from space), riprese da un satellite dotato di sensore per il rilevamento dei raggi gamma (Compton Gamma Ray Observatory). Gli scienziati provarono che, tali emissioni sono associate ai fulmini. Il loro studio suggeriva, inoltre, che talvolta “fontane di radiazione gamma” dirette verso l'alto provengano da punti sorprendentemente bassi nelle aree temporalesche.
Non escludo che alcune di tali emissioni, forse quelle più intense e provenienti dalle quote più basse, possano essere generate dal plasma in rotazione dei Fulmini Globulari. I campi di forza e la geometria del sistema in rapida rotazione potrebbero generare una sorta di "effetto cannone" e dai poli, lungo la direzione dell'asse di rotazione, potrebbe sprigionarsi un getto di onde elettromagnetiche molto dure, tra cui raggi gamma.
A questo punto sorge però spontanea una domanda: una volta scomparso il campo magnetico unidirezionale e, probabilmente, anche il cono vorticoso che lo aveva generato, il plasma dovrebbe perdere rapidamente energia, mentre la durata dei Fulmini Globulari è di norma relativamente lunga. Si può ipotizzare che una parte dell’energia venga “immagazzinata” nel plasma e rilasciata poi gradualmente fino al suo completo esaurimento, tramite fenomeni di riconnessione magnetica.
In un plasma in rotazione, il campo magnetico da esso generato, può essere considerato come congelato nel plasma, con le sue linee di forza che si muovono solidalmente al plasma. Questa condizione di congelamento non permetterebbe la riconnessione, ma il modello teorico elettro-magnetofluidodinamico (EMFD), rappresenta il congelamento del campo magnetico nella sola componente elettronica del plasma. La riconnessione magnetica, inoltre, è spesso correlata a condizioni di turbolenza nel plasma. La rotazione del plasma induce turbolenza e le conseguenti fluttuazioni magnetiche e di velocità del fluido possono generare campi magnetici a scala più grande. La decelerazione, inoltre, prodotta dalla dissoluzione del vortice dovrebbe giocare un ruolo determinante nello sviluppo della turbolenza all’interno del plasma e nel manifestarsi della riconnessione magnetica. La riconnessione magnetica è uno dei processi fondamentali che avvengono in un fluido magnetizzato; induce un cambiamento della topologia delle linee del campo di induzione magnetica, con conversione di energia magnetica in energia cinetica, termica e delle particelle veloci accelerate durante il processo. I brillamenti solari rappresentano una conversione esplosiva mediante riconnessione, di energia magnetica immagazzinata, in altre forme di energia.
Suppongo, quindi, che fenomeni di riconnessione magnetica consentano una graduale e prolungata emissione (anche dell’ordine di alcune decine di secondi) dell’energia accumulata nel plasma dei Ball Lightning e siano quindi responsabili della vita relativamente lunga di questi singolari oggetti luminosi.
Spero che il materiale da me raccolto, insieme alle mie ipotesi, possano gettare nuova luce sulla comprensione di questo inconsueto e spettacolare fenomeno naturale; ma la rarità e complessità del fenomeno non consentono un facile conseguimento di conclusioni inconfutabili.
Restano poi molti punti oscuri relativi alle fenomenologie connesse alla comparsa dei Ball Lightning: perché esistono diverse tipologie di Fulmini Globulari? Per quale motivo taluni Ball Lightning si muovono, mentre altri (in modo particolare i “Giant”) sembrano immobili? Come mai (secondo alcune testimonianze) alcuni Fulmini Globulari esplodono? E per finire, perché talvolta i Giant Ball Lightning (come quello da me osservato) quando si spengono sviluppano, per un istante, dei tratti oscuri grossolanamente perpendicolari sulla superficie, come se stessero per frammentarsi?
Prima di lasciare ad altri il compito di far luce su tutti questi punti oscuri, azzardo un’ultima ipotesi relativa all’ultimo quesito che ho esposto.
Il fenomeno che potrebbe indurre la frammentazione dell’ovoide luminoso potrebbe essere messo in relazione con i fenomeni esplosivi osservati in alcune tipologie di Ball Lightning. In pratica, si potrebbe ipotizzare che tutti i Fulmini Globulari “esplodano”, anche se con modalità differenti, in modo più o meno violento, producendo un rumore forte oppure no. Tutte le esplosioni non sono altro che fenomeni di rapida espansione di gas, prodotti da molteplici cause: di natura chimica (come negli esplosivi), elettrica (come nei fulmini), termonucleare (come nelle bombe atomiche).
Il plasma del Ball Lightning potrebbe espandersi rapidamente (invece di contrarsi) nella fase di spegnimento per il venir meno delle forze di coesione di natura elettromagnetica, forse nello stadio terminale dei processi di ricombinazione magnetica. La rapida espansione del plasma nella fase di spegnimento farebbe disaggregare l’ovoide luminoso, in moduli, che appaiono grossolanamente quadrangolari sulla sua superficie esterna, all'inizio dell’espansione; la successiva disgregazione sfuggirebbe all’osservazione venendo meno la luminescenza del Ball Lightning. L’onda d’urto (rumore esplosivo) probabilmente non viene sempre avvertita dall’osservatore oppure non è emessa da tutti i Fulmini Globulari, per la diversa velocità di espansione dei Ball Lightning.

Michelangelo Nitti                                                    11 gennaio 2014

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