L'epiteto specifico deriva
dal latino hirundo (rondine) con riferimento alla forma a coda
di rondine della radice di questa pianta.
Pianta erbacea perenne, Vincetoxicum hirundinaria ha un rizoma
strisciante ed un fusto eretto, striato, frequentemente ramificato alla
base, alto 30-80 cm.
È una specie molto variabile e con numerose sottospecie; in ambiente
mediterraneo predomina una varietà a fiori gialli.
Ha foglie opposte, picciolate, con lamina da ovato-lanceolata a
largamente ovale, acuminata, con base parzialmente cordata. La pagina
superiore è di colore verde scuro, quella inferiore, reticolata, verde
chiaro.
Le infiorescenze, multiple e corimbose, su peduncoli di 5-6 mm
all'ascella delle foglie, sono sparse nella parte superiore del fusto.
Compaiono dalla tarda primavera alla fine dell'estate.
I fiori, peduncolati, sono piccoli (3-10 mm) ed hanno un calice con 5
denti strettamente lineari.
La corolla, con 5 lobi triangolari a margine revoluto lunghi circa 4 mm,
è biancastra, più o meno sfumata di giallo.
Gli stami sono giallo verdastri, le loro appendici formano una piccola
corona.
I frutti sono dei follicoli appaiati, lisci, racchiudenti numerosi semi
con ciuffo di peli bianchi.
Presente in tutte le regioni italiane, ad eccezione della Sicilia, vive
in ambienti soleggiati, su suoli erbosi, nei boschi radi, su pendii
cespugliosi e sassosi, presso ruderi e lungo strade e sentieri, fino a
1.700 m s.l.m.
Il fungo Cronartium asclepiadeum, responsabile di una grave
malattia del Pinus nigra (ruggine vescicolosa), si serve del
"vincetossico" quale ospite intermedio per completare il suo ciclo
vitale.
Il "vincetossico" è molto velenoso; particolarmente tossici sono il
rizoma e le radici, dall'odore nauseabondo. Contiene i principi attivi:
vincetossina, asclepina, asclepiadina, acido asclepico. L'intossicazione
si manifesta con abbondante salivazione, vomito, diarrea, dolori
intestinali, crampi; infine paralisi muscolare e cardiaca.
Il suo nome volgare ed il nome del genere (latino vinco -
toxicum) derivano da una antica credenza che considerava,
erroneamente, questa pianta un antidoto contro il veleno dei serpenti.